Con Spotify finisce la prima Repubblica della Discografia? Marco Stanzani su Faremusic

Ottobre 8, 2018

Marco Stanzani su Faremusic, come cambia la Discografia con Spotify

Eh per forza.

Gli svedesi hanno annunciato che presto chiunque abbia una band, anche sconosciuta, potrà caricare da sé le proprie canzoni sulla loro piattaforma di streaming legale.

E soprattutto potrà farlo gratis. Almeno in principio.

Ek, il Ceo di Spotify, ha annunciato che si inizierà con una sperimentazione su un campione di artisti statunitensi, ma pare che presto la funzione verrà estesa a chiunque abbia interesse ad auto promuovere la propria musica.

Il “generale” McCarthy, CFO di Spotify, ha candidamente annunciato che il suo intento sarebbe, anzi è, quello di fare in modo che sulla piattaforma approdi quanta più musica possibile. Non importa la qualità insomma, quel che conta è la quantità. Un po’ come per YouTube che negli anni è diventata la nostra “televisione perfetta”, un compendio perfetto tra contenuti di livello e trash virale.

E quindi riepilogando, Spotify cosa fa? Ci dice quanto segue: caro il mio bell’ artista emergente, da oggi puoi caricare le tue canzoni direttamente su Spotify e renderle visibili al mondo. E lo puoi fare gratuitamente. In una botta unica praticamente puoi dunque bypassare la tua etichetta discografica e soprattutto puoi mandare a spasso qualsiasi aggregatore al quale fino ad ora ti eri rivolto per approdare con la tua musica sulle piattaforme digitali. Caro il mio deejay, se fino ad ora ti eri avvalso di Soundcloudper caricare i tuoi remix più o meno autorizzati, ora lo potrai fare direttamente su Spotify, generando un profitto per te dettato da ogni ascolto prodotto dalla tua creazione.

Wow

“NON SO SE AVETE INTESO QUANTO E COSA SIGNIFICHI QUESTO CAMBIAMENTO IN DISCOGRAFIA.”

Se fino ad ora con un abbonamento premium potevamo dire di viaggiare con 20 milioni di canzoni racchiuse nel nostro smart-phone, presto chiunque fischietti qualche cosa gli paia possa avere una parvenza di canzone, potrà caricare la propria creazione sulla piattaforma di streaming legale più importante al mondo, covando aspettative di guadagno. Questo potrebbe fare di Spotify una nuova pattumiera di musica scadente, un po’ come è successo per YouTube diciamocelo, esaltando ancora di più la logica della playlist, quella stessa logica che ha decretato la morte definitiva dell’album inteso come opera d’arte concettuale da ascoltare in rigoroso ordine dalla prima all’ ultima traccia.

Se nel Medio Evo per ascoltare musica ci si ritrovava nei salotti bene per sottoporsi a 3 ore di musica da camera, ora 30 secondi di un mp3 gracchiante sono a pieno titolo ritenuti già una canzone. Non importa più la qualità del suono, concetto del quale noi degli anni ’60 avevamo creato un mito al punto che per decidere dove posizionare le casse nella nostra cameretta, ci prendevamo mesi e mesi per rifletterci su. Ora quel che conta è avere, ed è avere tutto. La fruibilità, questo conta.

Negli anni ’90 col rifiorire della dance italica, era opinione comune che chi avesse azzeccato un suono particolarmente accattivante, dovesse affrettarsi a proporlo sul mercato perché di lì a pochi mesi sarebbe risultato obsoleto. Con la nuova iniziativa di Spotify accadrà lo stesso, con la differenza che però questo accadrà per tutta la MUSICA.

Questa stessa MUSICA nella quale, checché ne dicano gli ultimi romantici irriducibili, possiamo decretare la morte certa di una componente fino ad ora fondamentale: il disco.

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