Potrebbe essere questo il futuro della musica?
Nel vasto oceano dello streaming, Spotify è il transatlantico perfetto: enorme, stabile, prevedibile.
Ma mentre milioni di utenti si lasciano cullare dalle onde del “Discover Weekly”, qualcosa si muove in profondità: una nuova corrente fatta di community, esclusività e passione.
Il futuro, forse, non è negli algoritmi, ma nei superfans.
Troppo mainstream, troppo algoritmo
Spotify ha democratizzato la musica, ma l’ha anche resa… fast food.
Tutto subito, tutto uguale, tutto ottimizzato.
Gli artisti guadagnano briciole, le playlist editoriali seguono le major, e l’algoritmo decide cosa “deve” piacerci.
Risultato: l’ascolto diventa consumo, non esperienza.
La rivincita delle piattaforme per superfans
In risposta, nascono spazi alternativi: Bandcamp, Patreon, Stationhead, Vampr, Discord.
Qui la musica non è solo file, ma relazione.
- Su Bandcamp l’artista incassa fino al 90% del ricavato.
- Su Patreon i fan finanziano direttamente i propri musicisti preferiti.
- Su Discord si discute ogni demo come fosse un rituale segreto.
Queste piattaforme non vendono musica: vendono appartenenza.
Il fan non è un numero, è un alleato
Nelle community per superfans, il fan non “ascolta”: partecipa.
- Riceve contenuti esclusivi.
- Contribuisce alla crescita dell’artista.
- Fa parte del processo creativo.
Spotify, invece, si limita a suggerire “brani simili a quelli che hai già ascoltato”.
Comodo, ma impersonale.
Il futuro è tribale, non globale
La nuova musica non sarà per tutti.
Sarà per qualcuno.
Per chi sceglie, segue, investe, e si sente parte di un ecosistema artistico autentico.
Spotify resterà il centro commerciale.
Le piattaforme per superfans saranno il club privato, il bar underground, il laboratorio creativo.
👉 Quindi sì: no a Spotify (con affetto).
Sì a tutto ciò che tratta la musica come arte, e i fan come esseri pensanti.
Perché il futuro, forse, non sarà globale.
Ma sarà decisamente più umano.
