Fenomeni da 2021: The Beatles – Get Back

Dicembre 16, 2021
Questo 2021 sarà un anno che ricorderemo a lungo, se non altro perché abbiamo vinto tutto.

Un uomo italiano per la prima volta nella storia si è aggiudicato le Olimpiadi nella specialità regina dei 100 metri, la nostra Nazionale si è imposta agli Europei di calcio, un gruppo rock di ragazzini ha conquistato il Festival di Sanremo, l’Eurovision e gli USA, tanto che ancora ci chiediamo com’è possibile che nella foto con Mick Jagger c’è chi si chiede chi sia quel vecchio di fianco ai Måneskin.

Abbiamo visto format come LOL che hanno dimostrato quanto per avere successo a volte basti il classico uovo di Colombo. In fondo, da piccoli non giocavamo già a “Chi ride per primo è fuori”, sputandoci in faccia i semi dell’anguria? E, a proposito di giochi d’infanzia, vogliamo parlare di quanto ci ha tenuti incollati allo schermo Squid Game, la spettacolare serie coreana?

A metà novembre mi stavo convincendo a eleggere Strappare lungo i bordi di Zerocalcare come vero evento identificatore di questo 2021, quando mi è piovuta addosso The Beatles: Get Back.

La docu-serie diretta da Peter Jackson (quello de Il Signore degli Anelli, per intenderci) segue la creazione artistica dell’album “Let it Be” e la pianificazione della storica esibizione sui tetti della Apple Records, a tre anni dall’ultimo concerto tenuto dai Fab 4.

Molti studiosi del fenomeno Beatles attribuirono proprio a quelle sessions la molla scatenante che avrebbe portato allo scioglimento della band e per questo motivo le riprese delle giornate di Twickenham e di Savile Row sono una scatola nera a cui nessun fan aveva mai avuto accesso.

Da anni gli album dei Beatles erano carichi di sovraincisioni che avevano sacrificato la spontaneità degli esordi e con questa session avevano deciso il loro “ritorno alle origini”. The Beatles: Get Back sceglie una chiave di interpretazione precisa: subordinare tutte le relazioni alla rappresentazione ossessiva del loro processo creativo.

Attraverso l’insofferenza di George Harrison o l’imbarazzo generale ad ogni arrivo in studio di John Lennon insieme a Yoko Ono, in questo docu-film straordinario si avverte il disagio verso “la mission” del disco. Certo, i vecchi amici si incontrano e per qualche istante sembra che possano rivivere la magia dei vecchi tempi, ma la reunion è destinata a fallire perché il tempo passato e i cambiamenti personali non si possono cancellare.

John mostra un rapporto d’amore-odio verso la band al pari del suo umore decisamente volubile. George, negli accenni di quella che diverrà “Something” (una delle cinque canzoni più belle di tutti i tempi, secondo me), mostra tutto il suo talento. E in fondo è anche merito suo se Billy Preston interverrà a salvare un album che pareva destinato a naufragare.

La band avverte questo senso di fine imminente dettato, secondo alcuni, dalla prematura scomparsa di Bernard Epstein, manager della band a cui spettava il compito di tenere le fila della truppa. E mentre sui dialoghi si allunga l’ombra di Allen Klein (già anche procuratore dei Rolling Stones) la sagace regia di Peter Jackson assembla con successo una delle tante verità che le immagini di cui dispone dimostrano.

I Beatles si lasciano andare, suonano insieme e molto spesso se la spassano. John e Paul improvvisano ancora i grandi classici nelle pause e si abbandonano felicemente ai ricordi. Peter Jackson cattura centinaia di questi momenti e convince facilmente lo spettatore che i loro sguardi sono pieni di affetto sincero.

Michael Lindsay-Hogg, che riprendeva il tutto incessantemente, sistemando anche microfoni nascosti per ascoltare e registrare le discussioni tra Lennon e McCartney dopo la momentanea dipartita di Harrison, confida alla band che la storia per il documentario non c’era, a meno che non si volessero raccontare gli screzi e le incomprensioni.

Non si può condannare la sua convinzione che la straordinaria innocenza dei Beatles non potesse riempire un film. Nessuno poteva immaginare che quella sarebbe stata veramente l’ultima volta.

Con questa docu-serie è come se mi avessero permesso di entrare nel cervello di Kubrick o di assistere, in forma privata, alle liti tra Liz Taylor e Richard Burton, a un incontro segreto tra Marilyn Monroe e Kennedy.

E chi mai avrebbe potuto pensare che un simile affiatamento si sarebbe perso per sempre? Ora che niente potrà più riportarlo indietro, anche otto ore di film non sono abbastanza per esserne sazi.

a cura di
Marco Stanzani

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