Ha ancora senso promuovere la musica in Radio?

Novembre 23, 2023

La radio ha saputo riposizionarsi. Coi contenuti ha cercato di dare qualcosa che non trovi, è sopravvissuta a internet, alle tv musicali, a youtube e a tutto il resto. L’unica vera minaccia per la radio sono le piattaforme di streaming. Perché ascoltare la radio per la musica quando posso sentire le canzoni che voglio quando voglio attraverso spotify o altro? Noi che facciamo la radio cerchiamo di dare attraverso i programmi quella ragione, l’ascolto della musica alla radio, che è venuta a mancare con l’avvento di spotify. Le radio che non capiranno questo cambiamento probabilmente faranno molta fatica.” (Linus – https://www.fm-world.it/ 16 novembre 2023)

 

MA HA ANCORA SENSO PROMUOVERE LA MUSICA ATTRAVERSO LA RADIO?

Prendiamo spunto da questa dichiarazione di Linus per fare il punto sull’utilizzo della musica da parte delle emittenti radiofoniche e dei mutamenti che ha subito questo processo nel corso dell’ultimo decennio.

Quando la scuola romana dei promoter promuoveva la musica negli anni 70, tendeva a convincere quei due tre programmi radio rai affinché un Gianni Boncompagni o un Renzo Arbore potessero programmare quel tal 45 giri all’interno delle loro trasmissioni. Se ciò fosse avvenuto, la promozione poteva considerarsi pressoché conclusa e la notorietà del brano esposto nell’unico contenuto mediatico fruibile al periodo, sarebbe risultata pressoché assicurata.

Con l’avvento delle radio private è diventato improvvisamente interessante poter proporre musica anche all’interno di questi “programmi pirata” dove chi trasmetteva decideva cosa suonare all’interno del proprio programma.

Negli anni 80 furono pian piano introdotti termini tecnici come NETWORK o SYNDICATION che indicavano in una maniera o in un’altra la possibilità di alcune emittenti di poter estendere il proprio segnale a livello nazionale. La programmazione della musica in queste radio espandeva la notorietà dei brani molto più velocemente, ma in quel periodo i promoter non si fermavano certamente lì ed anzi accompagnavano gli artisti a rilasciare interviste nelle emittenti presenti su tutto il territorio, isole comprese. C’era in definitiva l’abitudine di pubblicare un album e di supportarlo in promozione con veri e propri tour radiofonici.

Negli anni 90, con l’avvento del Music Control, sistema di monitoraggio musicale su una trentina di radio sul territorio, nasceva per la prima volta la classifica dei brani più programmati alla radio che pian piano andò a soppiantare per importanza ciò che in realtà doveva risultare come la vera classifica di riferimento per misurare il successo di una canzone o meno: quella delle vendite dei dischi.

La prima parte degli anni Duemila fu contrassegnata dal predominio di una vorace pirateria che portò la quasi totalità dell’utenza a ricercare la possibilità di debellare l’acquisto di un supporto (dischi) o di un servizio (abbonamento di tv satellitari) attraverso l’ausilio di password pirata che infestavano la rete (che al periodo si sintetizzava semplicemente con la parola INTERNET).

Fino a quel momento la promozione radiofonica della musica costituiva l’elemento preponderante nella comunicazione dei brani, ma è stato con l’introduzione delle piattaforme di streaming legale che l’utenza ha scoperto di poter ascoltare ciò che vuole senza dover attendere la canzone preferita alla radio.

Da quel momento la Radio si è convinta di poter fare la differenza solo coi contenuti speakerati e si è servita della musica solo come veicolo per convincere gli ascoltatori a non cambiare canale prima che fosse riaperto il microfono. In quest’ottica non vi è stato più spazio per la musica emergente, ma solo per chi portava in dote un cospicuo quoziente di notorietà o, ancora meglio, uno stuolo di followers sufficiente a rassicurare i capi programmatori radiofonici a non correr rischi.

Questa constatazione ha determinato una programmazione uniformata a pochi titoli che attraverso la radio hanno ottenuto la consacrazione definitiva a hit (quel che una volta d’estate chiamavamo tormentoni, insomma), ma ha contribuito ad occludere ogni velleità di programmazione su titoli che, pur risultando meritevoli anche per voce degli stessi capi programmazione, non “sono suonati” perché magari vengono a mancare quei requisiti di notorietà richiesti.

Dico sempre: “se io scrivo la nuova Imagine e Tiziano Ferro pubblica una brutta canzone, comunque le radio programmeranno Tiziano per i motivi di cui sopra”.

Pertanto, se i nuovi Lùnapop che portammo al successo partendo dalla radio, uscissero ora, si renderebbe necessaria una strategia molto differente.

Questo mi pare molto chiaro. Ciò che invece non mi riesce di capire è il perché se una radio, sulla base delle indagini, perde ascolti, la prima cosa che si fa è quella di agire sulla programmazione musicale e non sui programmi. Certo se una squadra di calcio perde è molto più semplice sostituire l’allenatore piuttosto che licenziare i calciatori, ma allora, se le cose stanno così, potremmo considerare la Musica ancora come l’allenatore nella squadra della programmazione radiofonica.

Strano, perché a me invece pareva fosse stata relegata al ruolo di semplice “massaggiatore”.

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