Se vogliamo musica di qualità, qualcuno deve essere disposto a pagare per ascoltarla.

Aprile 5, 2024

Perché i musicisti dovrebbero poter guadagnare direttamente dalla propria musica e non ridursi a sperare che i propri pezzi diventino virali su Tik Tok.” (James Blake)

Questo sfogo di James Blake ha fatto il giro del mondo, e quindi mi sono chiesto:

“Esiste davvero un modo per capire come guadagnare con la musica”?

Sono giunto a due conclusioni:

  • O sei sufficientemente attivo a livello social da indurre una major ad investire su di te sul medio-lungo periodo (tanto si è ormai capito che le case discografiche guadagnano principalmente dal catalogo)
  • O ti accolli il rischio della tua impresa, ti pubblichi le canzoni sulle piattaforme e lavori per diventare virale da solo. Ma se ce la fai, tutto quel che guadagni è tuo.

La Fimi ha appena comunicato dati di incremento fatturati davvero importanti e il mercato discografico italiano, negli scorsi decenni piuttosto bistrattato, pare stia vivendo una nuova vita grazie allo streaming e al rinvigorito mondo del supporto fisico (cd e principalmente vinili sempre molto appetiti).

Nonostante ciò, diversi artisti di successo paiono non essere affatto soddisfatti. Sempre il buon J. Blake, per esempio, pur conteggiando quasi 10 milioni di ascoltatori mensili sul suo profilo Spotify, si è lasciato andare ad una serie di esternazioni che non hanno lasciato spazio a dubbi:

“Tutti vanno a caccia di canzoni fotocopia da poter pubblicare ogni settimana così da capitalizzare sfruttando la forza di questo modello economico. Ciò che non capiscono è che questo modello ci sta portando sempre di più verso un futuro fatto di musica generata dall’intelligenza artificiale con il risultato che i musicisti non verranno più pagati nemmeno quel poco che percepiscono al momento”.

La protesta di James Blake è riferita ad un episodio specifico: “Questo è solo un esempio di come TikTok abbia influenzato il mercato musicale, ma quando la mia versione di ‘Godspeed’ (brano di Frank Ocean) è andata virale, né io né lui abbiamo preso un euro perché secondo la piattaforma quello era un suono originale e non riconducibile agli artisti che lo avevano realizzato. Alcune persone non sapevano nemmeno che dietro a quel brano ci fossi io perché il mio nome sui social non compariva da nessuna parte. Detta così sembra che io stia pensando solo al mio profitto, ma vi assicuro che è un meccanismo che affligge tantissimi artisti in giro per il mondo. L’industria è malata e a pagarne le conseguenze sono i musicisti”.

Secondo Blake “… Le case discografiche pensano solo al profitto e se ne stanno a braccia conserte in attesa che un brano diventi virale, mentre le piattaforme di streaming e i social non pagano abbastanza gli artisti per l’utilizzo della loro musica. Come se non bastasse, andare in tour è diventato un costo quasi insostenibile per la maggior parte degli artisti”.

Molti avvocati specializzati in diritto d’autore, addetti ai lavori e musicisti minori, hanno segnalato sui loro profili social le considerazioni di Blake, quasi a voler lanciare un grido di allarme che, c’è da scommettere, non verrà raccolto e non produrrà nulla.

La musica, per cultura, è ormai opinione comune sia un bene del quale godere legittimamente in maniera assolutamente gratuita.

Come disse il Ministro Conte durante la pandemia: “I nostri amici musicisti che ci fanno tanto divertire”.

Si ma gratis, per lo più … Con buona pace di tutti.

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