Incrementare gli streaming con 0,0001€?

Maggio 17, 2025

Se io dessi 0,0001 euro ad ogni ascolto di una mia canzone, potrei mai incrementare gli streaming alle mie canzoni?

Non ridete, è solo che l’ho sognato l’altra notte.

Praticamente io ero un artista emergente e mi ero inventato questo sistema grazie al quale riconoscevo 0,0001 euro ad ogni ascolto di una mia canzone su Spotify

Poi mi sono svegliato e ho pensato: “Potrebbe mai funzionare?”

Perché nel meraviglioso mondo del mercato discografico contemporaneo, l’illusione della democratizzazione musicale grazie allo streaming è ormai una certezza: chiunque può pubblicare una canzone su Spotify e, in teoria, vivere di musica.

calcolatoriPeccato che la realtà sia un po’ diversa: per guadagnare quanto basta per permettersi un cappuccino, un artista deve accumulare almeno 30.000 ascolti. E per un affitto a Milano? Meglio non pensarci, servirebbero ascolti più di quelli di Beethoven in 200 anni di carriera post-mortem.

Quella della ricchezza da streaming è una leggenda metropolitana

Diamo qualche numero, giusto per divertirci: il pagamento medio per ascolto su Spotify si aggira attorno a 0,003-0,005 euro, ma attenzione! Non tutti quei centesimi vanno direttamente agli artisti: tra etichette, distributori, piattaforma e tasse, quel che resta in tasca al musicista assomiglia più a una mancia simbolica che a un vero compenso.

Eppure, immaginiamo per un attimo un mondo diverso, in cui fosse proprio l’artista a decidere di riconoscere 0,0001 euro per ogni ascolto. Sarebbe quasi una rivoluzione socialista del mercato musicale, un Robin Hood digitale che distribuisce la sua micro-fortuna tra ascoltatori, distributori, produttori e persino chi ha premuto “play” per sbaglio.

Come diceva Oscar Wilde: “La società esiste solo come concetto mentale; nel mondo reale ci sono solo individui.”

E nel caso del mercato musicale, esistono solo ascolti, centesimi dispersi e qualche artista che sogna di trovare l’aritmetica nascosta per sopravvivere.

E allora se lo facessi davvero, chi ci guadagnerebbe? (Spoiler: Nessuno)

Vediamo il quadro completo:

  • ⁠ ⁠Gli ascoltatori potrebbero finalmente sentire il peso finanziario della loro playlist: ogni volta che schiacciano “play”, contribuirebbero direttamente alla sopravvivenza dell’artista. Ma diciamocelo: ci si scandalizza per i 10 euro al mese di abbonamento premium, figurarsi per una tassa d’ascolto.
  • ⁠ ⁠Gli artisti potrebbero, in teoria, controllare il proprio guadagno. Tuttavia, con il sistema attuale, servirebbero comunque milioni di ascolti per rendere la musica una professione dignitosa.
  • ⁠ ⁠Le etichette discografiche probabilmente riderebbero di gusto e continuerebbero a firmare contratti che fanno sembrare i medievali patti feudali delle trattative più eque.
  • ⁠ ⁠Spotify invece si farebbe trovare pronto a ricalcolare tutto per mantenere il controllo, magari sostituendo gli ascolti con “esperienze interattive premium” in cui, per 10 euro, un artista può vedere il suo ascoltatore aprire un link a una playlist consigliata.

Come diceva Mark Twain: “Non è ciò che non sai che ti mette nei guai. È ciò che sai per certo e che poi si rivela falso.”

E il sogno che lo streaming renda automaticamente gli artisti ricchi appartiene esattamente a questa categoria.

Credo perciò che il mio sia e resterà un sogno infranto

La verità è che il sistema dello streaming musicale non è pensato per gli artisti, ma per il mercato. Pensare di poterlo rivoluzionare con una micro-tariffa a scelta è affascinante come discutere di un ritorno alla lira: idealistico, ma decisamente poco pratico.

Forse la soluzione sarebbe smettere di inseguire ascolti digitali e tornare alle origini: concerti dal vivo, vinili, merchandising assurdo con stampe di gatti che ascoltano punk.

Oppure, più realisticamente, accettare che, per ora, il mercato musicale è un gioco dove chi detta le regole ha già trovato il modo di vincere.

Seguici su