I BTS possono insegnare qualcosa alla cultura italiana?

Ottobre 25, 2021

Da diverso tempo sui social non si fa altro che parlare dei BTS (o Bangtan Boys), boyband sud-coreana formatasi a Seul nel 2013. Inizialmente di stampo rap, la band ha pian piano abbracciato una gamma più ampia di generi, esplorando temi come l’ansia scolastica, la salute mentale, l’amor proprio e la situazione sociale, con riferimenti alla letteratura e alla psicologia.

Per quel che di fisico si vende ancora, nel 2020 i BTS sono stati “l’artista” che ha venduto più dischi nel mondo.

BTS è un acronimo inventato dai fan e derivante dal nome del gruppo, Bangtan Sonyeondan, che in coreano significa “Boy Scout a Prova di Proiettile”, laddove per proiettili si intendono gli stereotipi, le critiche e le aspettative che, proprio come pallottole, colpiscono gli adolescenti.

Nel 2017, a quattro anni dal debutto, è stato annunciato l’acronimo inverso, diventato “Beyond the Scene”. La nuova brand indentity data alla sigla è dunque un ritratto della gioventù che cresce, come a indicare il superamento delle realtà che i componenti della band erano costretti ad affrontare. Dei veri geni del marketing, dal momento che BTS si è aggiudicato il premio per la miglior brand identity al iF Product Design Award 2018.

Nel tempo, i BTS si sono distinti anche per le loro attività in diversi ambiti e il loro impatto culturale. Sono stati descritti da Forbes come “indubbiamente il nome K-pop più grande e di maggior successo al mondo”, in grado di “fare cose che non riescono a nessun altro dello stesso genere”, mentre Billboard li ha definiti influenti quanto i Beatles.

Siamo sicuri che nell’udire certi raffronti ad alcuni di voi si sarà accapponata la pelle, ma quel che è certo è che il gruppo ha contribuito a rivitalizzare l’economia sudcoreana.

Nel 2015, i BTS hanno donato 7 tonnellate di riso in beneficenza alla cerimonia di apertura della K-Star Road. Un anno dopo, hanno partecipato alla campagna benefica “Let’s Share the Heart” per sensibilizzare il pubblico e raccogliere fondi da destinare alla cura della cecità. Nel gennaio 2017 hanno donato 100 milioni di won all’Associazione delle Famiglie vittime del naufragio di Sewol.

Ora che la musica italiana, dopo anni di silenzio dalle conquiste latin di Pausini e Bocelli, ha ripreso a viaggiare nel mondo grazie ai Maneskin, non sarebbe male si prendesse spunto da organizzazioni come quella creata ad hoc per i BTS.

In Francia, per esempio, si è dato vita al Bureau Export, un ufficio finanziato con fondi pubblici e privati che sostiene diversi artisti e permette loro di trovare risorse per farsi notare all’estero.

L’onda coreana (o hallyu) ci ha dato Psy, il primo tormentone a raggiungere il miliardo di visualizzazioni su YouTube, celebri band k-pop come i BTS o le Blackpink, e persino l’Oscar di Parasite, il primo film in lingua straniera a vincere nella categoria assoluta.

Quest’anno, però, anche a noi sta dicendo bene: abbiamo vinto Eurovision ed Europei di calcio, conquistato ori impensabili alla Olimpiadi e da qualche giorno siamo addirittura campioni mondiali di pasticceria.

Nel 2010, l’allora Ministro Tremonti si lasciò scappare la triste frase “con la cultura nun se magna”, un’affermazione che rendeva molto bene quale fosse la considerazione di chi dovrebbe stimare e valorizzare il patrimonio italiano, renderlo sempre più fruibile e farne un “progetto culturale” capace di coinvolgere altri paesi. Una pochezza intellettuale difficile da abbattere che finora ha rappresentato un freno allo sviluppo di questo settore.

E invece di cultura si mangia e si vive.

Se solo fossimo in grado di occuparcene seriamente, con una azione mirata ad accrescere la domanda, magari incrementando lo studio e la formazione. Se solo riuscissimo a creare gruppi di giovani capaci di implementare iniziative, di illustrare e guidare alla scoperta di questo nostro patrimonio.

a cura di
Marco Stanzani

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